La compagnia danese, che su Trieste ha il suo gateway principale per i traffici dalla Turchia, ha subito nel secondo trimestre del 2025 le conseguenza sulla profittabilità: i volumi si sono mantenuti resilienti, ma il livello dei prezzi è stato più debole del previsto, erodendo i margini. Dfds ha reagito spostando parte della capacità su direttrici alternative, come la nuova rotta fra Trieste e il porto egiziano di Damietta e il rafforzamento dei collegamenti verso la Francia e la Tunisia. Inoltre, ha annunciato per settembre l’introduzione di un nuovo modello tariffario, senza però scivolare in una guerra dei noli.
Le tensioni competitive nel bacino mediterraneo sono state il principale fattore dietro il brusco calo degli utili del gruppo nel secondo trimestre 2025. La Divisione Ferry di Dfds ha registrato ricavi per 4.313 milioni di corone danesi (circa 578 milioni di euro), in calo del 6,9% rispetto al 2024, con un Ebit crollato a 186 milioni di corone danesi (25 milioni di euro), pari a una riduzione annuale del 63,4%. Oltre il 90% della flessione dell’Ebitda aggiustato della divisione è stato imputato al Mediterraneo, aggravato dall’aumento del costo netto del carburante e dagli oneri per il lancio dei servizi passeggeri su Jersey.
Nel dettaglio dei volumi, il Mediterraneo ha chiuso il trimestre con un aumento del 2,4%, sostenuto dai flussi Turchia/Tunisia–Francia e dalla nuova connessione con l’Egitto. Più in difficoltà la rotta Turchia–Italia via Trieste, dove la pressione concorrenziale ha indebolito i noli. Altrove, l’andamento è vario: riduzione dell’1,8% nel Mare del Nord (condizionato dallo sciopero nei porti svedesi), aumento dello 0,5% nel Canale della Manica (grazie alle nuove linee per Jersey), riduzione del 4,5% nel Baltico e aumento del 6,3% nello Stretto di Gibilterra, dove però Dfds ha dovuto chiudere a maggio la rotta Tarifa–Tanger Ville, trasferendo le due navi sulle rotte di Jersey.
La Divisione Logistica mostra un quadro più resiliente, seppure a macchia di leopardo. I ricavi del trimestre sono saliti a 3.897 milioni di corone danesi (522 milioni di euro), ma la redditività resta sotto pressione: l’Ebit è sceso a 33 milioni di corone danesi (4,4 milioni di euro). In Nord Europa e nel Continente il mercato resta caratterizzato da sovra-capacità e da tender aggressivi, mentre nel Regno Unito e Irlanda Dfds è riuscita a mantenere una crescita organica positiva. Più critica la situazione in Turchia ed Europa meridionale, penalizzate da domanda debole, incertezza tariffaria e colli di bottiglia ferroviari verso la Germania.
Per contrastare queste dinamiche, la compagnia ha accelerato sul programma di ristrutturazione Logistics Boost: otto progetti attivi, oltre 400 posizioni a tempo pieno eliminate, cinque attività cessate e otto sedi chiuse o accorpate. In parallelo, nella nuova divisione Türkiye & Europe South sono state vendute oltre mille unità di equipaggiamenti e ridotte circa mille posizioni a tempo pieno, con maggiore ricorso a subappalti.
Nel complesso del trimestre, Dfds ha chiuso con ricavi consolidati a 7.810 milioni di corone danesi (1,045 miliardi di euro) (+3% su base annuale), ma con un Ebit ridotto a 163 milioni di corone danesi (22 milioni di euro) (–69%). La società ha rivisto al ribasso le previsioni per il 2025: Ebit atteso tra 0,8 e 1,0 miliardi di corone danesi (107–134 milioni di euro), ricavi in crescita di circa il 5% e flusso di cassa libero aggiustato stabile a un miliardi di corone danesi (134 milioni di euro). Sul fronte patrimoniale, la leva finanziaria si attesta a 4,2x, con l’obiettivo di ridurla entro fine anno grazie al flusso di cassa e taglio dei capex (previsti a 1,4 miliardi di corone danesi).
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